Giorni di Gloria, anno 1945. Anno zero (sembrava)

Pubblicato il da sipassa

 E, allora, dopo aver tracciato alcune delle linee guida che hanno condotto all' école italienne de la liberation (come i francesi definirono il movimento neorealista), il passaggio successivo diventa: Giorni di Gloria. Il grande documento filmato di Luchino Visconti, anno 1945. Giorni di gloria  è la Resistenza, ne è l'apice filmico, si tratta di un Visconti appena uscito dal carcere che si mette strenuamente e con il furore di un sopravvissuto a girare un film. Pellicola di straordinario valore storico- politico, è un ascoltare le urla, assistere al processo e poi all'esecuzione. E, soprattutto è- come recita la didascalia iniziale, un'opera dedicata a tutti coloro che hanno sofferto l'oppressione nazifascista. Composto da materiali di provenienza diversa, girati a più mani, sono coordinati da Mario Serandrei e Giuseppe De Santis. Visconti filma il processo all'ex questore di Roma, Caruso, e al suo aiutante Occhetto. E, poi, ancora il linciaggio – al quale fu presente per caso -dell'ex direttore del carcere di Regina Coeli, Carretta, nonché l'esecuzione di Caruso, del delatore Scarpato e di Pietro Coch. 

 

Insieme alle riprese di Marcello Pagliero alle Fosse Ardeatine, le sequenze girate da Visconti costituiscono un brano di cinema stilisticamente differenziato dagli altri. Visconti, infatti, costruisce con le riprese del processo un piccolo drammatico racconto. Al primo piano dell'ex capo della polizia fascista e del suo aiutante , fa seguire una panoramica dell'aula del processo, un totale quindi. Sfilano i testimoni, agenti di polizia alle dipendenze di Caruso che denunciano una lunga serie di misfatti del questore assassino al servizio dei tedeschi. Visconti alterna i diversi punti di vista: degli avvocati, del giudice, ai testi di Caruso di un vescovo, tutti teste a carico. La requisitoria che gli viene dallo sguardo acuto con cui Visconti osserva fatti e personaggi, quasi fossero elementi di una grande rappresentazione scenica (quella del Pubblico ministero che alla fine chiede la condanna capitale è separata, con un primo piano del volto disfatto di Caruso, dall'arringa della difesa che cerca pateticamente di muovere a pietà i giudici). Quando l'imputato si alza per la sentenza, tranne una breve interruzione per un totale sui visi del pubblico, Visconti tiene la macchina da presa fissa sul volto di Caruso che viene condannato a morte. Da qui la sequenza dell’esecuzione che si svolge come su un desolato fondale di teatro. La sedia vuota, il condannato che scende dal carrozzone, il grande spazio dischiuso da un totale all'altro o aperto da un campo lungo, gli uomini schierati, la benedizione del prete, sono elementi scenografici stilistici che raggiungono un’altissima, silenziosa tensione drammatica. Con un'accurata articolazione di spazi e ritmi, la cine cronaca divenuta tragedia. Pertinenti le osservazioni di Gianni Rondolino: «Il carattere documentaristico delle sequenze si carica progressivamente d'una drammaticità che gli viene dallo sguardo acuto con cui Visconti osserva fatti e personaggi, quelli fossero elementi di una grande rappresentazione scenica( )… il documentario si fa drammaticità, il cinegiornale d'attualità tragedia: fatti e personaggi si dispongono sullo schermo quasi fossero materiale plastico e situazioni drammaturgicamente elaborate. Anche nella semplice registrazione del reale Visconti riesce a introdurre elementi di spettacolarità congenita, il bisogno di intervenire nella cronaca per metterne in luce i risvolti profondi». Grazie Luchino. 

Per essere informato degli ultimi articoli, iscriviti:
Commenta il post
A
in effetti la condanna a morte è molto scenografica
Rispondi