Stop alla rappresentazione dell'antifascismo. Il diktat è, come sempre, politico.

Pubblicato il da sipassa

Parte prima: il quadro politico -sociale. Quello che decretò la vittoria "eccellente" della Democrazia Cristiana. Il partito che cercherà ( e otterrà) prima il fenomeno di rimozione, quindi di oblio riguardo la rappresentazione del fascismo, dell'antifascismo e, soprattutto, della Resistenza. 

Il filone cinematografico sulla rappresentazione del fascismo e  dell'antifascismo è breve, brevissimo. Un arco temporale di tre anni all'incirca. Perché? Non certo perché a fermarsi siano gli slanci o le passioni, o ancora, la voglia di testimoniare  quel desiderio così vivido, la libertà. No. Al solito  è la politica a decidere i giochi, anche quelli culturali. Soprattutto quelli culturali. E' il 18 aprile del 1948 quando la Democrazia Cristiana, dopo una schiacciante vittoria con il 48% dei consensi sale al potere. Dove rimarrà per anni. La vittoria  dei centristi segna la fine di quella libertà di pensiero e d'espressione che si pensava fossero state finalmente raggiunte. La Dc nel suo voler strenuamente conservare le tradizioni cattoliche, fece sì che in quel momento il concetto di antifascismo non rappresentasse più un valore aggiunto da continuare a perseguire, per entrambi, ma un di meno. In gioco c'erano anche gli equilibri mondiali (siamo in piena guerra fredda) e il comunismo è diventato,  in quel frangente, il vero grande nemico da combattere. E, allora, il fenomeno di rimozione e oblio del recente passato fascista, viene organizzato, a tavolino. Ma torniamo per un attimo a quei giorni.  E’ il primo suffragio universale nella storia dell’Italia Unita, anche le donne sono chiamate in causa per partecipare alla vita pubblica e politica, potendo esprimere la propria preferenza politica ai seggi . Un dato estremamente importante, se lo si considera nella sua portata sociale, civile e civica. Il clima  è di entusiasmo, non potrebbe essere altrimenti. Ma il voto si svolge all'interno di un'atmosfera che vede una netta contrapposizione politico-ideologica. Da un lato la Dc, dall'altro il Pci; con il risultato di far confluire i consensi del corpo elettorale su questi due schieramenti, piuttosto che disperderli negli altri partiti minori. E il partito conservatore di centro vince, alla grande. La domanda immediata è il perché di questo vero e proprio trionfo, nonostante la voglia, la sentita necessità di sinistra. Sul suo successo elettorale, furono tanti i fattori  a pesare, primo fra tutti 

 la situazione politica estera e le vicende internazionali. Il recente colpo di stato in Cecoslovacchia a opera di un partito comunista minoritario spaventava l'opinione pubblica. La riportava agli anni della marcia su Roma e dell'avvento del fascismo. E la paura del ritiro del piano Marshall qualora avessero scelto di appoggiare dei comunisti al governo. Come se non bastasse, il partito di Togliatti comincia a dare segni di cedimento al suo interno. Un  forza politica  che si spacca,  in un momento in cui gli italiani volevano, o meglio cercavano, una compattezza che gli desse forza e ottimismo, non ha potuto far altro che creare sfiducia, quindi allontanamento.

 

Ed è qui che i cittadini, sono costretti, gioco forza, a ripiegare le loro aspettative politiche su un altro schieramento. Forte al suo interno, che potesse dargli le garanzie e la sicurezza necessaria in un periodo dagli equilibri così delicati. Sono anni importanti, centrali, nella costruzione di un’Italia nuova, diversa: il popolo italiano vuole credere in un cambiamento della classe politica dirigente, un cambiamento che lo veda in linea con le nuove svolte storiche che hanno appena contraddistinto quegli anni. Una minoranza avvertita come culturalmente diversa, leggeva inevitabilmente tutto questo come una forma di progresso umano collettivo e sociale senza precedenti e si aspettava che lo fosse anche la parte governativa del proprio Paese, invece le accese e continue polemiche all’interno della classe dirigente, con micro lotte fa esponenti dello stesso partito, non poteva che destare sospetti di instabilità e soprattutto di precarietà del sistema. Tutto questo sta alla base dell’esito del voto. La posizione del leader comunista, Palmiro Togliatti, chiarisce alcune delle linee che hanno portato ala situazione che si sarebbe di lì a poco verificata, e che tanto avrebbe inciso per anni sul sistema produttivo e artistico cinematografico. In un editoriale pubblicato su Rinascita, la rivista teorica del partito, l'8 agosto 1946 Togliatti scrive che in «Italia c'era stato un compromesso, che aveva lascito la guida dell'economia alle forze conservatrici; in cambio si era ottenuta la «democratizzazione del paese nel suo complesso». Singolare per un marxista come Togliatti l’aver seguito questa linea sul fronte economico ma le lezione di Pietro Nenni (con la sua massima «politique d'abord» ovvero la politica sopra ogni altra cosa) aveva dato i suoi frutti. Al primo posto questa rinuncia a ogni tentativo di intervenire con riforme sul sistema economico e sulla politica economica avrebbe segnato la futura politica del Pci e i destini degli italiani. Si creò così uno scarto tra l'azione e l'obiettivo finale, che restava quello di una società comunista. E questo tipo di scarto conferiva inevitabilmente all'attività e alla credibilità di Togliatti e del Pci una forte connotazione di instabilità e di ambiguità. Il comunismo si andò collocando in un orizzonte sempre più lontano e, quanto più l'obiettivo si allontanava, tanto più quel peso dell'anima social-democratica del partito, inconfessabile, ma presente, soprattutto nelle cosiddette regioni rosse, ne era l'eredità lasciata dal socialismo riformista prefascista. Non stupisce quindi, se tenuto conto di tutti questi fattori e della situazione socio-politica che si trovavano a vivere gli italiani appena due anni fuori da una dittatura ventennale e di una guerra di vaste proporzioni, si andava sempre più disaffezionandosi all'idea delle sinistre. E' il momento dell'ascesa nei consensi della Dc, in primo luogo perché essa ebbe una rappresentatività molto più vasta del Partito Popolare e perché le circostanze la portarono a rappresentare anche la destra. Il grande vuoto ideologico, politico e organizzativo che si era aperto a destra a conclusione della guerra a causa dell'identificazione fra destra e fascismo,29 l'unica forza politica in grado di osteggiare in qualche modo l'azione e del Psi e del Pci era proprio la Dc. Perché? Perché i moderati non si sentivano sufficientemente tutelati ed essendo i due partiti di sinistra con la loro notevole capacità di espansione, visto il loro interesse e attenzione non solo per i problemi generali ma anche per quelli locali il che consentiva loro di cercare di approdare un po' ovunque sul territorio, di mettervi radici e di controllarlo. L'unica

forza che poteva competere in questo controllo a tappeto era lo Stato, attraverso i Carabinieri, in modo altrettanto efficiente ed efficace, ma le stesse sinistre erano anch'esse dentro lo Stato. E questo non era poco per la classe dei moderati, che vedevano un po' riacutizzarsi i fantasmi della vecchia dittatura, altro elemento fortemente deterrente, questo per l'opinione pubblica generale, non quella spiccatamente appartenente alla lotta di classe, per intenderci...seguirà una seconda parte ...



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